Quando si suonava e si scappava: il gioco più semplice e divertente di un tempo
“Suona e scappa”: il gioco innocente che univa i bambini degli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 tra risate, corse e campanelli di casa.
La magia di un gioco senza tempo
C’erano sere d’estate in cui bastava poco per ridere fino alle lacrime. Bastava un gruppo di amici, un campanello, e quel coraggio misto a paura che solo i bambini conoscono. Era il gioco di “suona e scappa”, una piccola bravata che faceva parte della quotidianità di chi è cresciuto tra gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta.
Un gesto semplice, forse un po’ monello, ma sempre pieno di spensieratezza e complicità. Si suonava e poi via di corsa, nascondendosi dietro un muro o dietro una siepe, con il cuore che batteva all’impazzata e la risata che cercavi di soffocare per non farti scoprire.
Un rituale d’infanzia che univa tutti
Ogni quartiere aveva la sua “squadra”, e ogni portone era una piccola sfida. Non c’erano cellulari, né social: solo il campanello e la fantasia.
Era un modo per sentirsi vivi, per mettere alla prova il proprio coraggio e per condividere momenti che oggi definiremmo “banali”, ma che allora erano avventure vere.
Le strade risuonavano di risate, di urla trattenute, di passi veloci sull’asfalto. E quando il portone si apriva all’improvviso, tutti scappavano in direzioni diverse, con quella sensazione di averla “fatta grossa” e la promessa di riprovarci il giorno dopo.
Un mondo che non esiste più, ma che vive nei ricordi
Oggi quei campanelli, con i nomi scritti a mano sui cartellini, sono quasi scomparsi. Al loro posto ci sono citofoni digitali e videocamere, ma nessuna tecnologia potrà mai sostituire quella leggerezza.
“Suona e scappa” era un gioco che insegnava senza volerlo: a collaborare, a fidarsi, a condividere la paura e la gioia.
Era un piccolo pezzo di vita all’aperto, in cui la libertà non aveva bisogno di schermi o connessioni. Bastava una risata e un campanello da premere per sentirsi felici.
Il valore di quei piccoli momenti
Guardando oggi un vecchio citofono, come quello della foto, si prova un misto di nostalgia e tenerezza.
Chi è cresciuto in quegli anni lo sa bene: non era solo un gioco, era un modo di vivere l’infanzia.
Un’epoca in cui si conoscevano tutti i vicini di casa, in cui bastava uno sguardo per capire se “il piano era chiaro”, e in cui le serate finivano con la risata più sincera del mondo.
Forse per questo, anche oggi, al solo pensiero di quel “Ding Dong” improvviso, ci scappa un sorriso.