I regoli colorati: quando la matematica si imparava giocando
I regoli Cuisenaire: quei pezzetti colorati che ci insegnavano la matematica con il sorriso. Ricordi scolastici indimenticabili!

Un tuffo tra banchi, quaderni e colori
Basta uno sguardo a quella scatoletta gialla per tornare indietro nel tempo. I regoli colorati, strumenti educativi usati soprattutto tra gli anni '70 e '90, fanno riaffiorare ricordi vividi di scuola elementare, di banchi di legno, e di quel misto di timidezza e curiosità che avevamo da bambini.
Non erano solo strumenti didattici: erano giocattoli matematici, pezzi di plastica dai colori vivaci, ognuno con una lunghezza diversa e un valore numerico assegnato. Senza rendercene conto, imparavamo addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni semplicemente… giocando.
Cosa sono i regoli Cuisenaire?
Inventati dal belga Georges Cuisenaire negli anni '40, i regoli erano ideati per rendere la matematica visiva e tangibile. Ogni colore corrispondeva a un numero, da 1 a 10.
Ecco i più comuni:
- Bianco = 1
- Rosso = 2
- Verde chiaro = 3
- Rosa = 4
- Giallo = 5
- Verde scuro = 6
- Nero = 7
- Marrone = 8
- Blu = 9
- Arancione = 10
Disposti in fila, combinati, impilati, ci insegnavano che due rossi facevano un rosa, che un verde da 6 poteva essere scomposto in un rosso e un giallo.
Era matematica senza formule, pura intuizione e sperimentazione.
Apprendere con le mani, non solo con la testa
Nell’epoca pre-digitale, prima delle LIM e delle app educative, imparare con i regoli era un approccio tattile e concreto all’apprendimento. La matematica diventava tridimensionale: potevamo toccarla, manipolarla, combinarla.
Era un modo per avvicinare anche i bambini più diffidenti ai numeri. Senza la pressione della lavagna e dei compiti, attraverso forme e colori, il concetto di quantità e proporzione prendeva forma reale. E il bello è che ogni scoperta avveniva come un piccolo gioco.
La maestra, i compagni, la scatola gialla
Chi li ha usati non può dimenticare il momento in cui la maestra tirava fuori la valigetta di plastica, spesso gialla o arancione. Un rumore di incastri, qualche pezzetto perso sotto il banco, e poi via: lezione di matematica tra risate e stupore.
C’erano quelli che li impilavano a caso, chi cercava di costruire torri o castelli, e quelli che con orgoglio trovavano le combinazioni giuste per dimostrare che 5 + 2 + 3 faceva esattamente quanto un arancione.
Ogni bambino aveva il proprio modo di esplorare, ma l’obiettivo era condiviso: capire, divertendosi.
Un’eredità didattica che resiste
Sebbene oggi siano meno diffusi, i regoli Cuisenaire non sono scomparsi. In molte scuole primarie continuano a essere usati, magari affiancati da strumenti più moderni. Restano uno dei simboli più efficaci della pedagogia attiva, quella che mette al centro lo studente e il suo processo di scoperta.
Molti insegnanti ancora oggi li considerano un ponte tra concetto astratto e realtà concreta, ideale per studenti visivi, per chi ha difficoltà con i numeri o semplicemente per rendere l’aritmetica meno intimidatoria.
Nostalgia canora e matematica creativa
I regoli, oggi, sono anche un oggetto di nostalgia collettiva. Spuntano nei mercatini vintage, nei post social delle pagine “Anni ’80”, nelle conversazioni tra ex compagni di classe.
Chi li ha usati li ricorda con affetto. Non erano solo strumenti didattici, erano un pezzo della nostra infanzia, parte di un’educazione che aveva il coraggio di essere semplice, pratica, colorata.
Un’educazione che, forse, ci ha insegnato molto più di qualche calcolo: ci ha insegnato a imparare con curiosità.
Curiosità: quei piccoli blocchi che ci hanno lasciato grandi lezioni
I regoli colorati erano molto più di strumenti per fare somme. Erano esperienze, scoperte, momenti condivisi.
Ci hanno mostrato che la matematica non è solo un insieme di numeri su un quaderno, ma una lingua fatta di forme, relazioni, intuizioni.
Oggi, anche solo vedere una loro foto è sufficiente per riportarci a un tempo in cui bastavano una scatola di plastica e un po’ di immaginazione per sentirsi grandi esploratori del sapere.