Nomi, Cose, Città… il gioco che ha colorato la nostra infanzia

“Nomi, Cose, Città”: un semplice foglio e una penna bastavano per ore di divertimento. Il gioco della ricreazione, tra risate e ricordi.

A cura di Paolo Privitera
12 giugno 2025 13:40
Nomi, Cose, Città… il gioco che ha colorato la nostra infanzia -
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Un foglio, una penna, e via: inizia la magia

Prima degli smartphone, delle app e dei social, c’era carta a quadretti. Prima delle notifiche e dei like, bastava una penna a quattro colori per dare il via a una partita che poteva durare ore.
“Nomi, Cose, Città” è stato un gioco che ha segnato intere generazioni. Un passatempo semplice, ma così potente da riempire pomeriggi, pause scuola e perfino giornate intere in vacanza.

Bastava una lettera, scelta spesso a caso o scandita da una canzoncina, per scatenare la corsa più divertente di sempre tra i banchi: trovare un nome, una cosa, una città — e magari anche un animale, un mestiere, un cibo — che iniziassero con quella lettera. Facile? Non sempre.

Il gioco che univa tutti: grandi e piccoli, amici e compagni

“Nomi, Cose, Città” aveva un potere raro: metteva d’accordo tutti. Non importava l’età, la classe sociale o il grado scolastico. Bastava voler giocare.

I compagni di scuola si trasformavano in avversari agguerriti, pronti a difendere con forza la validità di “faro” come mestiere o di “funghi” come animali. Le regole erano semplici, ma la fantasia era infinita. Ogni parola trovata diventava una scintilla di creatività — e, spesso, di discussione.

Quante risate per le risposte inventate all’ultimo secondo, quante amicizie consolidate o messe alla prova da una “Z” difficile o una “Q” disperata!

Le regole non scritte (ma sacre)

Ogni gruppo aveva le sue varianti di gioco. C’erano i puristi, che non accettavano niente al di fuori di “nome, cosa, città”. E c’erano i più avventurosi, che aggiungevano categorie a piacere:

  • Animale
  • Mestiere
  • Frutta
  • Film
  • Cantante
  • Colore

Ogni parola doveva iniziare con la lettera scelta. Ogni risposta uguale ad altri valeva 5 punti, unica ne valeva 10, e se non avevi niente? Zero.

E poi, la regola d’oro: “Stop!” gridato con entusiasmo da chi finiva per primo. Tutti giù le penne, controllo incrociato, e via alla somma dei punti. Una gara mentale che allenava memoria, logica e velocità. Senza nemmeno saperlo, stavamo facendo un esercizio di prontezza linguistica.

Quando sbagliare faceva ridere più di vincere

La cosa bella di “Nomi, Cose, Città” era che non bisognava essere perfetti. Anzi, spesso erano proprio gli errori a regalare i momenti più divertenti.

Chi non ha mai scritto “Zebra” nella categoria “cose”? O “Fungo” come animale?
 C’erano discussioni eterne su parole di dubbia validità, veri e propri tribunali improvvisati nei cortili delle scuole. Ma alla fine, vinceva sempre la voglia di giocare, di inventare, di condividere.

Era un gioco che premiava chi aveva letto tanto, chi aveva buona memoria, ma anche chi sapeva bleffare con fantasia. E tutti, alla fine, ridevano insieme.

Un rito della ricreazione (e dei pomeriggi d’estate)

“Nomi, Cose, Città” era ovunque: sui banchi, nei cortili, in spiaggia, in montagna, in treno. Bastava un foglio, una penna e almeno due giocatori.

Era il gioco perfetto per i tempi morti, ma diventava in fretta il protagonista. Potevi giocare in due o in otto, dividere le squadre, aggiungere categorie stravaganti e cambiare regole a piacere. Il punto era divertirsi.

Anche in famiglia, tra cugini o fratelli, durante le vacanze o i pranzi domenicali, c’era sempre qualcuno che tirava fuori un quaderno e diceva: “Facciamo una partita?”. Ed era subito nostalgia.

Nostalgia a quadretti: perché ci manca così tanto?

Oggi, guardando i bambini con tablet e giochi digitali, ci rendiamo conto che quel mondo semplice e spontaneo ci manca.
Non c’era bisogno di connessione, di batterie, di schermi: bastava la fantasia. E quella, forse, oggi ce la dimentichiamo troppo spesso.

“Nomi, Cose, Città” era più di un gioco: era un esercizio di creatività, di condivisione, di educazione all’ascolto e al confronto. E, soprattutto, era un tempo lento e pieno, dove ogni momento diventava un ricordo.

Farlo tornare oggi? Sì, si può (e si deve!)

E se oggi lo rispolverassimo?
 Una sfida tra amici al bar, una partita in famiglia durante un viaggio, una variante digitale giocata via chat. “Nomi, Cose, Città” può ancora vivere, e farci sorridere come allora.

Esistono anche versioni aggiornate, con nuove categorie (emoji, app, influencer...), ma il cuore del gioco resta lo stesso: divertirsi insieme, con la testa e con il cuore.

Curiosità: una penna, un foglio, mille emozioni

“Nomi, Cose, Città” è un piccolo tesoro della nostra infanzia. Un gioco che ha attraversato generazioni, che ha unito amici, fratelli, compagni.
 Un gioco che ci ha insegnato a pensare, ridere, inventare.

E oggi, forse, abbiamo più che mai bisogno di tornare a quella semplicità, fatta di carta, parole e complicità.

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