32 anni dopo: La mafia uccide il cronista Beppe Alfano, una ferita ancora aperta nella nostra memoria culturale

La mafia uccide il cronista Beppe Alfano: un evento culturale che ricorda il coraggio di 32 anni fa 🕊️📰. Scopri la storia dietro il suo sacrificio.

08 gennaio 2025 00:30
32 anni dopo: La mafia uccide il cronista Beppe Alfano, una ferita ancora aperta nella nostra memoria culturale
Condividi

32 anni dall'assassinio di Beppe Alfano: la memoria di un cronista coraggioso

Il rumore di tre spari e il rombo di un motore che accelera a vuoto hanno squarciato la tranquillità di via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto, la sera dell'8 gennaio 1993. È qui che, all'interno di una Renault rossa, le forze dell'ordine trovarono il corpo senza vita di Beppe Alfano, cronista locale di 48 anni. Fu la prima vittima della mafia in un anno che seguiva le tragiche stragi di Capaci e via D'Amelio, e che continuava a macchiare di sangue la storia d'Italia.

La vita di un uomo tra politica e giornalismo

Nato a Barcellona Pozzo di Gotto, Alfano aveva coltivato fin da giovane due grandi passioni: la politica e il giornalismo. Durante i suoi studi universitari a Messina, si avvicinò al movimento estremista Ordine Nuovo e poi al Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante. La sua carriera giornalistica, invece, prese forma nella dimensione investigativa del cronista di strada.

Il destino lo portò però a interrompere gli studi e trasferirsi in Trentino, dove iniziò a insegnare educazione tecnica. Tornato in Sicilia nel 1976, si trovò di fronte a un contesto politico locale cambiato, che ben presto lo identificò come una figura scomoda. La mancata elezione alle comunali non scoraggiò Alfano, che decise di combattere la corruzione e l'affarismo attraverso il giornalismo.

Un cronista che non si lasciava intimidire

Alfano iniziò a collaborare con radio provinciali e successivamente con emittenti televisive locali, diventando un punto di riferimento per la cronaca di Barcellona e dintorni. La sua spiccata capacità intuitiva lo portò spesso a precorrere eventi e situazioni, risultando una fonte d'indagine anche per le forze dell'ordine.

Tuttavia, il suo lavoro iniziò a infastidire alcuni personaggi potenti, che gli fecero capire di dover fermarsi. Nonostante le minacce, Alfano non si lasciò intimidire, arrivando a confidare alla moglie e alle figlie di essere consapevole della sua imminente fine.

L'assassinio e le indagini

La notte dell'8 gennaio 1993, il disegno criminoso si concretizzò. Mentre rincasava con la moglie, Alfano notò qualcosa di strano davanti al portone d'ingresso e, raccomandando alla donna di chiudersi in casa, si mise alla guida della sua Renault rossa. Poco dopo, fu freddato da tre colpi di pistola.

Le modalità dell'esecuzione portavano la firma evidente di Cosa Nostra. Eppure, una strategia di depistaggio e diffamazione della vittima portò inizialmente le indagini in altre direzioni. Solo dopo anni, grazie alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, emerse un quadro diverso: Alfano sarebbe stato ucciso per aver scoperto un giro di riciclaggio di denaro sporco legato al commercio degli agrumi.

L'eredità di Beppe Alfano

Con il tempo, la figura di Beppe Alfano è uscita dall'anonimato locale, guadagnando l'attenzione dei media nazionali e dell'opinione pubblica. Morto da precario, solo dopo la sua scomparsa gli fu riconosciuto il tesserino di giornalista. Grazie all'impegno della figlia Sonia Alfano, la vicenda giudiziaria sulla morte del padre fu riaperta nel 2014, portando a nuovi scenari con le rivelazioni del pentito Carmelo D'Amico.

Oggi, a 32 anni dalla sua morte, ricordare Beppe Alfano significa onorare la memoria di un cronista coraggioso, che non si piegò mai davanti al potere della mafia. La sua storia continua a ispirare giornalisti e cittadini nella lotta per la verità e la giustizia.

Ti è piaciuto questo articolo? Seguici...

Via Newsletter

Niente spam, solo notizie interessanti. Proseguendo accetti la Privacy Policy.

Sui Canali Social